Crisi della Scrittura e Scrittura della Crisi

Convegno organizzato da Arigraf e Dipartimento Scienze della Formazione

In occasione del trentennale della sua fondazione, l’ARIGRAF ha proposto all’attenzione dei Grafologi un Convegno di riflessione su un tema d’indubbia attualità, affrontato sul doppio versante dell’analisi sociologica e dell’indagine grafologica.

Di seguito sono presentate le sintesi degli interventi proposti durante il convegno, tenutosi il 27 maggio 2011 presso l’Istituto della Enciclopedia Italiana Giovanni Treccani.

Relazione introduttiva: Trasformazioni economico-sociali e costruzione dei valori – Prof. Lucio Pagnoncelli, Ordinario di Pedagogia presso la Facoltà di Medicina e Psicologia – Università La Sapienza di Roma

I Pinocchi incompiuti: l’appiattimento dei valori nelle grafie degli adolescenti – Dott.ssa Anna Rita Guaitoli, Grafologa, pedagogista, Direttore responsabile della rivista “Il giardino di Adone”

Il segno “sfuggente” nella grafia dei politici – Dott.ssa Carla Poma, Grafologa, Presidente ARIGRAF Roma, autrice della voce “Grafologia” per gli Aggiornamenti dell’Enciclopedia Treccani

Giornalisti e deontologia professionale: esistono ancora i Walter Tobagi? – Dott.ssa Elena Manetti, Grafologa, Presidente ARIGRAFMilano

Nuovi falsi, nuove tecniche d’indagine – Dott. Raffaele Caselli, Grafologo, Presidente onorario ARIGRAF, Perito Giudiziario del Tribunale di Roma, Direttore del Laboratorio nazionale di aggiornamento in Perizia Giudiziaria ARIGRAF

L’alba di una nuova solidarietà – Dott.ssa Véronique de Villeneuve, Grafologa, Presidente della Société Francaise de Graphologie

Le ragioni della crisi: parlano (e scrivono) i filosofi del ‘900 – Dott.ssa Paola Urbani, Grafologa, Presidente AGIF, Direttore editoriale della rivista “Il giardino di Adone”

Etica e Coraggio, casi emblematici: da Matteotti a Saviano – Dott.ssa Nicole Boille, Grafologa, psicologa, Presidente onorario ARIGRAF, membro del Groupement des Graphologues Conseils di Francia

Relazione introduttiva: Trasformazioni economico-sociali e costruzione dei valori – Prof. Lucio Pagnoncelli, Ordinario di Pedagogia presso la Facoltà di Medicina e Psicologia – Università La Sapienza di Roma

La crisi, le crisi

Spesso mi capita di osservare, in un numero crescente di giovani, una sorta di “spaesamento”, un deficit di radici, di identità, che non di rado si traduce in un debole senso di sé, in una scarsa autostima, fino a un vero e proprio sentimento di impotenza, di sfiducia. Si tratta di giovani “in crisi” e che sempre più spesso intorno a loro sentono parlare di “crisi”.

Potrei sintetizzare questa mia impressione con una affermazione di Amartya Sen, che giustamente considera questo senso di spaesamento come un tratto distintivo della realtà attuale e lo traduce con la “difficoltà ad assumere su di noi la responsabilità delle vite che conduciamo, e anche del mondo in cui viviamo”.

In effetti tale sensazione caratterizza la società in cui viviamo e, anche se riguarda la gran parte della popolazione, ho voluto riferirla in prima battuta ai giovani sia perché chi appartiene a generazioni precedenti ha già esperienza, nel bene e nel male, di realtà differenti, “più strutturate”, meno “liquide” (per usare un’espressione di Bauman che oramai è entrata nel parlare comune) sia perché il fatto che stia maturando una nuova generazione con quote sempre crescenti di “spaesati” è un dato che ritengo particolarmente preoccupante.

E crisi e spaesamento individuali sono lo specchio di situazioni più generali, che toccano le ragioni e la qualità dello stare insieme (coesione e solidarietà sociali) nonché la capacità e la qualità delle condizioni di riproduzione materiale della società, cioè le sue attività e i suoi processi economici.

La vita delle società e degli individui si potrebbe descrivere come un continuo susseguirsi di crisi, almeno nel significato etimologico di questo termine (krino = giudico e di conseguenza decido). Qualsiasi azione, se ben guardiamo, anche la più semplice (fare un passo, ad esempio), rappresenta il tentativo di uscire da uno stato di crisi, di squilibrio, è una sorta di più o meno ragionato “salto nel buio”, un “gettare il cuore oltre l’ostacolo”.

Ma le crisi che attualmente viviamo presentano caratteri, potremmo dire, di particolare originalità, sia per l’alto grado di complessità che le contraddistingue sia per l’ampiezza degli scenari di riferimento sia per una scarsa trasparenza degli attori e delle forze in gioco sia, e forse ancor più, per l’incertezza o addirittura l’assenza di chiare regole del gioco. E, al fondo, per la difficoltà di intravedere soluzioni credibili.

La globalizzazione

L’espressione probabilmente più sintetica per descrivere la fase che attraversiamo, anche se oscura e per molti aspetti impropria, è quella di “globalizzazione”.

Questa espressione, nell’attuale contesto, evoca di primo acchito tutta una serie di significati (possibilità di comunicazione globale, di movimento globale delle merci e dei capitali ecc.), per più aspetti anche fascinosi (si gioca, non di rado, su un ambiguo concetto di libertà), almeno per come vengono presentati dai principali attori delle varie dinamiche della globalizzazione.

Il termine, però, di per sé poco o nulla ci dice, al di là di queste più o meno confuse evocazioni, sul come realmente siano andate e stiano andando le cose, cioè sul come e sul perché si è giunti alla “globalizzazione”, né sul come in realtà questo complesso fenomeno si ripercuota sulla vita degli individui, delle società e degli stati. E poco o nulla ci dice dell’altra faccia della medaglia, cioè del come, insieme a caratteri positivi e costruttivi, coesistano potenzialità altamente negative e distruttive. Il fatto, ad esempio, che lo sviluppo, nel quadro della globalizzazione, si traduce di fatto in un aumento degli squilibri, in un’accentuazione delle polarizzazioni fra paesi ricchi e paesi cosiddetti in via di sviluppo, fra ricchezza e povertà anche all’interno dei paesi ricchi.

In uno scenario altamente concorrenziale, con la fisiologica finalizzazione al massimo profitto, con le nuove possibilità di comunicazione e di trasporto nonché di circolazione di capitali/imprese/merci (la “compressione del tempo e dello spazio” richiamata da Z. Bauman, ma di cui necessariamente parlano quasi tutti coloro che si occupano, da vari punti di vista, della globalizzazione), le imprese – e in primo luogo le multinazionali – hanno la possibilità di ricercare tutte le opportunità di minori costi, quindi di acquisire maggiore concorrenzialità e pertanto di realizzare maggiori profitti. Poiché potenzialmente questa è un’opportunità per tutti i concorrenti, l’insediamento in luoghi che offrano agevolazioni fiscali, bassi costi del lavoro, assenza o minima consistenza di diritti dei lavoratori, sufficiente sistema infrastrutturale, una popolazione con adeguate capacità professionali e altri “vantaggi competitivi” diventa quasi un must nel quadro dell’attuale economia capitalistica di mercato.

E questo è forse l’aspetto più preoccupante dell’intera questione della globalizzazione: la ricerca di vantaggi competitivi e il perseguimento del massimo profitto tende a farsi, in questo quadro, una questione “oggettiva”, imposta dalle “leggi del mercato”, a volte necessaria anche per sopravvivere in una situazione di tendenziale instabilità e di concorrenza a tutto campo, senza esclusione di colpi.

Anche l’impresa, d’altro canto, si spersonalizza. Non c’è più il “padrone delle ferriere”, ma le imprese sono governate da manager, che, pur godendo in genere di benefici molto consistenti e non di rado spropositati, devono comunque rendere conto della “bontà” del loro operato agli azionisti. E se i profitti non sono soddisfacenti per gli azionisti, anche i manager seguono la sorte dei lavoratori dipendenti. In un suo libro L. Gallino cita un episodio dell’attività di A. Olivetti (peraltro noto appassionato di grafologia) per mostrare il suo senso di responsabilità nei confronti dei lavoratori. Oggi casi di questo tipo non si possono dare. La finalità è la crescita, il profitto, sbaragliare la concorrenza, costi quel che costi, a prescindere, cioè, dalle ricadute di questo tipo di crescita.

I valori e la loro crisi

Le principali ragioni di quella che possiamo chiamare crisi dei valori (tradizionali) sono individuabili in alcune conseguenze dell’attuale globalizzazione, e in primo luogo nelle sue ricadute sul lavoro o, meglio, sui rapporti di produzione, la cui garanzia è sempre determinata, di necessità, in sede politica e istituzionale. Prenderò in considerazione soprattutto questo aspetto perché lo ritengo quello che più immediatamente e incisivamente contribuisce a determinare, soprattutto nei giovani, quel senso di incertezza e di spaesamento, quindi di crisi dei valori e del senso di sé, che è uno degli effetti più perniciosi e disgreganti del processo di globalizzazione.

È abbastanza evidente che capitali/imprese de-territorializzate e in forte competizione fra loro devono avere la possibilità, per crescere e realizzare maggiori profitti (e in alcuni casi per cercare di sopravvivere all’urto della concorrenza), di operare, come si è già visto, con il minor numero di vincoli. E fra questi, in primo luogo, devono essere liberi da vincoli di responsabilità verso il lavoro. In sostanza, una delle misure di maggiore appeal che gli stati possono offrire è quella, in ossequio al mito della “flessibilità”, della possibilità di assumere e licenziare in modo discrezionale nonché di erogare salari per quanto possibile contenuti. Ne consegue il fatto che, laddove esistano le condizioni minime per produrre un determinato bene o servizio, i capitali si orienteranno verso quelle realtà che assicurino un minor numero di vincoli sul versante lavoro.

Questa situazione, che si prospetta in termini di particolare gravità per i giovani (non dimentichiamo, ad esempio, che in Italia la disoccupazione giovanile sfiora oggi il 30% e che quasi 4 milioni di giovani e meno giovani hanno contratti flessibili, cioè precari, di vario tipo), investe di fatto l’insieme dei lavoratori.

Se ritorniamo a quanto detto riguardo alle condizioni di appetibilità per il capitale che gli Stati devono cercare di garantire, e per quanto riguarda il lavoro al tema della “flessibilità”, ci accorgiamo facilmente che la sua traduzione in precariato di lungo corso ha un forte effetto destabilizzante, che in primo luogo priva i giovani, ma non di rado anche i meno giovani, del futuro, nel senso soprattutto della sostanziale possibilità di fare progetti soggettivamente credibili. E “La capacità di progettare il futuro”, osserva P. Bourdieu, “ è la condizione di ogni comportamento considerato razionale” .

Quella della precarietà e delle sue più o meno gravi conseguenze, risultato oggi ineludibile della globalizzazione, diviene quindi sempre più una condizione generale di vita che, privando innanzitutto del futuro, crea spaesamento, insicurezza, crisi dei valori e in ultima analisi crisi della coesione e della solidarietà sociale.

Il problema della “costruzione dei valori”

È pensiero/espressione storicamente frequente e ricorrente – in qualche modo legato al succedersi delle generazioni e alla difficile accettazione di pur minimi cambiamenti – quello che vede nel presente una negazione, un crollo dei valori su cui si fonda la convivenza sociale, il sistema di relazioni tra gli uomini, il conferimento di senso alla realtà sociale, alle istituzioni e la loro conseguente credibilità, indispensabili per la vita sociale.

I valori, peraltro, come le credenze e le regole morali/sociali, cambiano necessariamente con il cambiare delle condizioni materiali – e quindi del sentire – delle società. Da questo punto di vista la nostra epoca non fa eccezione e sembra seguire il regolare corso della storia.

In un clima sociale, però, determinato in primo luogo dagli effetti della globalizzazione, in cui si incrinano le forme della solidarietà e in cui in numero crescente i membri di una società si ritrovano abbandonati a se stessi, si ingenera l’idea e la percezione di un’assenza di valori, di una scarsa credibilità di gran parte dei valori tradizionali e di una loro inadeguatezza alla complessità delle nuove realtà nel loro costante farsi e modificarsi. Questa percezione è peraltro rafforzata dall’evidente indebolirsi delle tradizionali autorità, fonte e garanzia dei sistemi di regole e valori.

Ci troviamo, in definitiva, in una sorta di stato di durkheimiana anomia (letteralmente “assenza di regole”, ma anche incapacità di sostituire regole di fatto superate con regole nuove, adeguate, efficaci e socialmente condivise). Di qui un diffuso “smarrimento”, che non di rado, come in particolare fa notare Umberto Galimberti, sconfina in tentazioni e in pratiche nichiliste, di azzeramento e interscambiabilità di valori, in una notte in cui tutte le vacche sono nere.

Senza regole e valori una società non può essere e, per quanto si stiano profondamente modificando le configurazioni stesse delle attuali società, i valori continuano di necessità ad esistere, anzi, una volta ritenuti insoddisfacenti e inadeguati quelli tradizionali, se ne producono più o meno prontamente di nuovi. Oggi assistiamo, a fronte dell’indebolimento dei valori tradizionali, ad una duplice tendenza: da un lato creazione di nuovi valori (ad esempio, esasperazione dell’individualismo e non di rado suo slittamento in vero e proprio egoismo) e dall’altro rifugio in valori che potremmo definire arcaici: forti ritorni di religiosità spesso in chiave integralistica; ricerca di nuove identità sulla base di appartenenze culturali e territoriali interne alle compagini statuali esistenti, con effetti a volte fortemente disgreganti (ex-Jugoslavia, Belgio ecc.); conservatorismo politico; rifiuto del diverso e razzismo, e via elencando.

Il problema che si pone dal punto di vista della qualità della convivenza sociale è quanto sia i nuovi valori sia quelli che ho definito “valori arcaici” risultino condivisi e non invece ulteriore fonte di disgregazione sociale.

Una considerazione è necessaria su due concetti: valore ed educazione.

Metto insieme questi due concetti sia perché i valori, in qualsiasi società e in qualsiasi epoca, si formano e vengono fatti propri all’interno di processi educativi sia perché, a fronte dell’attuale crisi, è frequente il ricorso al tema dell’educazione, da un lato come una delle principali cause, nel suo cattivo funzionamento, della crisi dei valori e dall’altro come principale strumento per superare tale crisi.

In una società i valori si formano, come si diceva, attraverso quello che chiamiamo “processo educativo”. Si tratta di un processo complesso, innanzitutto basato sulla famiglia e poi su una più o meno lunga permanenza dei giovani nella scuola. Fino a pochi anni addietro queste due istituzioni occupavano, sebbene con differenti accentuazioni, quasi per intero lo spazio educativo.

Certamente esse hanno svolto, soprattutto all’interno di società nazionali relativamente chiuse, funzioni di grande rilievo, che in parte continuano a svolgere ancora oggi. Rispetto però ad un pur recente passato sono cambiate molte cose e in primo luogo la moltiplicazione dei canali di informazione nonché la disponibilità da parte dei giovani (e anche dei bambini) di strumenti che consentono l’accesso diretto e non “guidato/controllato” a molteplici fonti di informazione e opportunità di comunicazione. Queste fonti, però, sono spesso portatrici (anche se in genere in modo informale, ma non per questo meno efficace) di regole e valori che possono risultare in contrasto con (e/o più allettanti dei) sistemi di regole veicolati dalla famiglia e dalla scuola. Peraltro questi media (è necessario distinguere fra radio/televisione e nuove ITC) comportano in primo luogo sia una tendenziale passivizzazione, con conseguente isolamento e perdita di socialità concreta, sia, nelle attuali condizioni di più o meno forte isolamento, la necessità di procedere soggettivamente a valutazioni e giudizi, con conseguenze che oscillano tra lo smarrimento e un senso inedito di potenza valutativa (e comunicativa, anche se solo virtuale).

L’ordine sociale e le regole morali

Storicamente la credibilità e la forza di valori e regole morali, a prescindere da una loro valutazione positiva o meno, si basava sul loro essere funzionali a un ordine sociale che, a sua volta, configurava e indicava prospettive di vita, ipotesi di futuro individuali e sociali abbastanza cogenti. Queste ipotesi restano comunque valide nel caso sia di società rigidamente divise in classi sia di società con margini di mobilità sociale.

La credibilità della scuola, ad esempio, è storicamente fondata su un patto implicito di permanenza o di ingresso in una classe sociale elevata: se studierai potrai aspirare a lavori eguali o migliori di quelli dei tuoi genitori, potrai guadagnare di più di chi non ha studiato e così via. Il risultato pratico di questa ideologia era la percezione individuale e sociale (anche se poco fondata) di un buon grado di corrispondenza fra titoli di studio e occupazione, così come fra titoli di studio e collocazione sociale, che a volte si è tradotta, soprattutto nei periodi di più accentuato sviluppo economico, in effettiva mobilità. Quindi, attraverso la scuola, e ancor prima attraverso le regole e i valori assorbiti in famiglia (e non particolarmente contraddetti dall’ambiente sociale), era possibile avanzare ipotesi sul futuro, costruire progetti.

Oggi questa credibilità (famiglia e scuola) tende a ridursi o addirittura a venire meno. E questo per due ordini di motivi: il primo, che in parte abbiamo già considerato, relativo alla pluralità di informazioni; il secondo, e indubbiamente più determinante sul piano della credibilità delle istituzioni, relativo alle condizioni strutturali in cui oggi i giovani vivono, con particolare riferimento al mutare della qualità del lavoro e dei rapporti di produzione.

Il portare a termine gli studi universitari e trovarsi non di rado a dover accettare un lavoro precario, mal retribuito e dequalificato in un call center non è certo una situazione che incoraggia alla credenza nei valori quanto meno implicitamente propagandati dalle istituzioni educative. Questo comporta per i giovani, in un quadro di ridotta solidarietà sociale, una grande difficoltà (per non dire in moltissimi casi l’impossibilità) di fare progetti, di avanzare credibilmente ipotesi sul proprio futuro. Tutto ciò determina, insieme alla messa in crisi della coesione e della solidarietà sociale, una crisi di credibilità di quelle istituzioni più specificamente preposte alla trasmissione di valori e regole generatrici della coesione e della solidarietà, e in primo luogo della famiglia e della scuola.

Come accennavo più sopra, però, gli esseri umani, proprio in ragione del loro essere sociali, del loro vivere in società, non possono fare a meno di valori (così come non ne può fare a meno la società nel suo insieme).

Se è vero, come abbiamo appena accennato, che famiglia e scuola risultano sempre meno in grado di produrre e trasmettere valori credibili e condivisibili, e se però è anche vero che i valori continuano necessariamente ad esistere e ad essere prodotti, saranno indubbiamente altri i soggetti, i canali e le situazioni di costruzione e trasmissione dei valori. E se questi canali e situazioni sono certamente individuabili nei media e nel loro uso sociale non è da sottovalutare il potere di contagio e persuasione di cosiddetti modelli forti, cioè di modelli “di successo”, resi di particolare efficacia e contagiosità proprio dalla pubblicità dei media, vera e propria loro cassa di risonanza.

In questi casi non c’è nessuna garanzia, specie nel clima della globalizzazione, che i valori veicolati dai modelli forti e dai media siano valori moralmente e socialmente positivi. Se il denaro, la ricchezza, diventano sempre più “misura a prescindere” del successo individuale e sociale e vero strumento di mobilità sociale, non è detto che i valori veicolati in relazione, ad esempio, alla qualità dei mezzi utilizzati per procurarsi la ricchezza, siano cristallini e socialmente condivisibili. Se la globalizzazione produce insicurezza, spaesamento, deregulation e prevalere della legge del più forte, la società, per sopravvivere, produrrà e riprodurrà valori adeguati alla realtà della globalizzazione.

Quali prospettive?

Se, quindi, i nuovi valori tendono a conformarsi alla realtà della globalizzazione e ai valori che essa produce, rischiano di risultare velleitari gli sforzi di risolvere l’attuale crisi di questi ultimi mantenendosi unicamente sul piano dell’etica e delle buone intenzioni. E’ certo di grande importanza che la riflessione sulla necessità dell’affermazione di nuovi valori positivi si sviluppi, ma è illusorio pensare che questa riflessione sia in grado da sola di condurre al superamento della loro crisi.

Vorrei precisare che la mia insistenza sugli aspetti politici ed economici della globalizzazione è strettamente funzionale alla riflessione sulla crisi dei valori e su un suo possibile superamento. Infatti, è solo nel quadro di un processo di modificazione delle dinamiche economiche, cioè di un tendenziale riequilibrio delle politiche di sviluppo, che ritengo possibile la produzione di nuovi e positivi valori.

Mi si dirà che quello da me disegnato è un cane che si morde la coda. E sarebbe certamente così se non mi venisse in soccorso quello che io chiamo l’”ottimismo del pessimismo”.

Mi spiego subito. In questa realtà “incartata”, che produce squilibri, tensioni, insicurezza e gravissimi rischi ambientali e nucleari, sarà l’acuirsi di questi rischi a determinare con sempre maggiore chiarezza la necessità di una scelta radicale fra vera e propria crisi del pianeta e nuove e più equilibrate politiche di sviluppo.

Le soluzioni ai problemi creati dagli uomini non possono che venire dagli uomini, cioè, in primo luogo, dalla capacità che ciascuno di noi saprà esercitare per far sì che i governi dei propri paesi si facciano promotori della tanto auspicata maggiore coesione a livello internazionale.

Ed è qui che entrano in gioco i processi educativi, è qui che essi possono contribuire alla formazione di una sempre maggiore consapevolezza dei problemi esistenti, alla creazione, come dice E. Morin, di una nuova “cittadinanza terrestre”, che ci renda sempre più consapevoli del fatto che i problemi fortemente evidenziati dalla globalizzazione sono problemi di tutti, che ci coinvolgono tutti e che non possono essere risolti chiudendosi nel proprio particolare di individui, di provincie, regioni, stati.

Il “villaggio globale “ di Mc Luhan non ha oggi le caratteristiche del villaggio: sta a noi farlo diventare tale.

I Pinocchi incompiuti: l’appiattimento dei valori nelle grafie degli adolescenti – Dott.ssa Anna Rita Guaitoli, Grafologa, pedagogista, Direttore responsabile della rivista “Il giardino di Adone”

I grafologi che non sono sociologi non possono disinteressarsi della società: perché chi scrive è uomo sociale.

Il grafologo dell’età evolutiva, in particolare, non può disinteressarsi dei cambiamenti epocali che stanno scardinando le categorie spazio-tempo e avviando verso una mutazione antropologica: perché i “nuovi Pinocchi”, i ragazzi di oggi, trovano evidenti maggiori difficoltà ad affrontare la avventura pericolosa della crescita che dovrebbe portare alla loro trasformazione in individui, in cittadini.

Grande storia di trasformazione, l’invenzione di Collodi può offrire la chiave interpretativa capace di entrare in quei cambiamenti definiti epocali, in cui viviamo noi e, soprattutto, i nostri giovani.

Di fronte a tali novità, proprio in quanto adulti, non possiamo negarci alla realtà con semplicistiche rassicurazioni, ma dobbiamo essere i primi ad assumerci la responsabilità, etica, di dare un nome a ciò che vediamo: anche quando dobbiamo constatare una vera emergenza educativa; anche quando dobbiamo mettere in discussione i nostri modelli di riferimento.

E dobbiamo fare presto. Perché intanto loro, i giovani, crescono. Ma, sempre più iperprotetti e “onnipotenti” nelle prime fasi di crescita, rischiano di ritrovarsi poi, nell’adolescenza, senza quella struttura capace di fare loro affrontare le difficoltà, e il futuro.

Un futuro non facile, se è vero che sempre più precario è il lavoro; fragili i rapporti affettivi; difficile la scelta tra tante opzioni. La vita sembra svolgersi in un eterno presente in cui si sperimenta una nuova forma di solitudine dove l’altro c’è solo in quanto partner di consumo, al più specchio e sostegno di sé.

In quanto adulti-grafologi dobbiamo interrogarci sui modelli attuali di scrittura, per capire se e quanto questi esprimano i nuovi bisogni; per capire se è possibile individuare potenzialità e rischi insiti nelle nuove forme di conoscenza.

Soprattutto, dobbiamo cercare di comprendere se, mentre cambiano le modalità della comunicazione, nella grafia trovi espressione la attuale difficoltà a verbalizzare e, quindi, a comunicare le emozioni profonde: con il conseguente rischio di ritrovare troppi giovani prigionieri di una ”indifferenza dell’anima”, o di “passioni tristi”.

Due, sulla base della mia esperienza, sono risultati i modelli grafici prevalenti.

Una gran parte di scritture adolescenziali evidenzia la fatica a trovare struttura di forma, organizzazione di spazio, forza propulsiva di movimento.

Sembra così trovare espressione quella dismissione di progetti, quella insicurezza di identità indicate dalle ricerche più attuali e dai numeri delle statistiche. Ad evitare qualsiasi generalizzazione ricordiamo sempre che le percentuali non indicano, come è ovvio, l’intero universo giovanile: possono dare però il senso della estensione, o della gravità, del fenomeno. Dietro ogni numero, poi, c’è una persona: cui l’analisi grafologica cercherà di dare voce.
Il modello che risulta dominante negli adolescenti è quello che possiamo definire complessivamente come SCRIPT, caratterizzato comunque dal rifiuto del legame delle lettere. La rinuncia al corsivo e al legame può indicare bene le difficoltà relazionali e il bisogno di controllo sulle emozioni profonde. Quelle che pure loro sentono. Ma cui non sanno dare un nome e da cui possono essere travolti.

Forse, interrogandoci, riflettendo senza pregiudizi moralistici o estetici, potremo trovare il modo per aiutare chi cresce a dare un orizzonte di senso alle novità epocali. Magari mettendo dei limiti (e che si chiamino pure regole). Soprattutto, dando loro la possibilità di riappropriarsi della dimensione “responsabilità”. Per non fare restare, insomma, i nostri ragazzi dei “Pinocchi incompiuti”.

Il segno “sfuggente” nella grafia dei politiciDott.ssa Carla Poma, Grafologa, Presidente ARIGRAF Roma, autrice della voce “Grafologia” per gli Aggiornamenti dell’Enciclopedia Treccani

Abbiamo assistito, negli ultimi 20 anni, ad una radicale trasformazione del rapporto degli italiani con la politica. E non solo e non tanto degli italiani chiamati al voto, quanto di quelli, più fortunati, incaricati di interpretare la volontà di chi li ha eletti.

Ci siamo chiesti allora se anche la scrittura manuale degli esponenti nazionali della politica riflettesse questo nuovo modo d’intendere la gestione della cosa pubblica, fatto di “finanza creativa”, lettura “diversa” delle regole, aperture e chiusure repentine di alleanze, dichiarazioni e subitanee smentite, soluzioni originali a problemi sedimentati.

Il percorso si è snodato attraverso eventi della nostra storia politica più recente, caratterizzati da personaggi portatori di modelli scrittori ben precisi.

Dai blocchi di partenza di un grafismo convenzionale, calligrafico, accurato (vedi, tra gli altri, Nilde Jotti, Aldo Moro, L. Dini, A. Ruberti), passando per scritture più sciolte, vibranti, destrutturate (G. Bianco, Giulio Andreotti, Bettino Craxi et al.), siamo approdati all’identificazione di quello che abbiamo chiamato segno “sfuggente” (C. Mastella, Silvio Berlusconi, Umberto Bossi, Romano Prodi, Antonio Di Pietro, et al.)

Non un segno, in realtà, ma una sintesi grafica che si apparenta e si combina, di volta in volta – a seconda dello scritto in esame – con le specie filiforme, imprecisa, incompiuta, precipitosa, confusa, oscura, tormentata, impaziente.
Ne sono segni costitutivi un collegamento interletterale labile e poco deciso e forme scrittorie frettolose, sospese, incompiute, che nuocciono alla leggibilità dell’insieme.

Il senso complessivo di questo percorso dal linguaggio della forma a quello dell’imprecisione riflette, a livello di comportamento, un passaggio dal rigoroso rispetto delle norme e delle convenzioni, con tutta la mancanza di opportuna flessibilità che ciò comporta, dal desiderio di ben fare e ben figurare (spesso il secondo prevalendo sul primo), a una assunzione più disinvolta del ruolo, a una interpretazione più libera della norma, forieri talvolta di soluzioni innovative a problemi scottanti, talaltra di forzature incongrue a baluardi istituzionali.

Ci siamo infine chiesti se grafie più apparentate con modelli scolastici appresi non risentissero dell’età dello scrivente e dell’insegnamento – a suo tempo obbligatorio – della “calligrafia”: ma a smentire tale congettura figurano scritture di anziani esponenti politici (v. Giulio Andreotti), la cui grafia è già un felice esempio di “sfuggente” vibrante e – all’opposto – grafie come quella dell’allora trentenne Irene Pivetti, che sfoggia forme compunte e calligrafiche degne di ben figurare nei quaderni dei genitori.

Giornalisti e deontologia professionale: esistono ancora i Walter Tobagi? Dott.ssa Elena Manetti, Grafologa, Presidente ARIGRAFMilano

Come si potrebbe definire il giornalismo e che cosa dovrebbero fare i giornalisti: cito la definizione fornita direttamente dall’Ordine:

« Per attività giornalistica deve intendersi la prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e all’elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione. Il giornalista si pone pertanto come mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso… differenziandosi la professione giornalistica da altre professioni intellettuali proprio in ragione di una tempestività di informazione diretta a sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli, per la loro novità, della dovuta attenzione e considerazione.” »

(Cass. Civ., sezione lavoro, 20 febbraio 1995, n. 1827.)

Ma il giornalismo ha avuto sempre un pericoloso rapporto con il potere e se da una parte i giornalisti possono essere una minaccia e una sfida, con la loro capacità di rendere pubblici abusi ed errori di chi governa, dall’altra i giornalisti possono essere servi del potere stesso e influenzare in senso demagogico i lettori. I giornali dovrebbero invece assumere il ruolo di strumenti essenziali di democrazia e la libertà di stampa dovrebbe essere una delle libertà civili per eccellenza, garantita da tutte le costituzioni liberali, forse la pietra di paragone più certa per misurare la democraticità di ogni stato. Tale libertà, cito una sentenza del 1993 della Corte Costituzionale, deve essere « qualificata e caratterizzata da obiettività, imparzialità, completezza e correttezza; dal rispetto della dignità umana, dell’ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori nonché dal pluralismo delle fonti cui [i giornalisti] attingono conoscenze e notizie in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni, avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti” »

(Sentenza n. 112/1993 della Corte costituzionale.).

Il giornalismo è comunque una storia di singoli uomini e donne che hanno interpretato in senso positivo o negativo il loro ruolo, hanno raccontato grandi eventi e fatti minimi, hanno attaccato o difeso leggi, istituzioni, personaggi pubblici. Alcuni sono diventati celebri, moltissimi altri sono del tutto oscuri, altri ancora hanno rivelato notizie capaci di cambiare il corso degli eventi e contribuito a modellare abiti mentali, non sempre positivi, alcuni hanno collaborato con il potere nell’ingannare e illudere il pubblico, a volte con pessimo gusto e pericolosa capacità manipolatoria. Alcuni giornalisti hanno al contrario messo a repentaglio la loro vita e altri ancora l’hanno persa come Walter Tobagi (18 marzo 1947 – 28 maggio 1980) che venne assassinato in un attentato terroristico perpetrato dalla Brigata XXVIII marzo, gruppo terrorista di estrema sinistra.

Al Corriere della sera Tobagi seguì sistematicamente tutte le vicende relative agli «anni di piombo»: dai tempi degli autoriduttori che disturbavano le Feste dell’Unità agli episodi di sangue più efferati con protagoniste le Br, Prima Linea e le altre bande armate. Analizzando le vicende luttuose del terrorismo risaliva alle origini di Potere Operaio, con la galassia delle storie politiche e individuali sfociate in mille gruppi, di cui molti approdati alle bande armate. Le sue analisi erano sempre lucide, essenziali, coraggiose e obiettive e in tutti i suoi articoliTobagi non è mai stato servo di dogmi e logiche politiche. In via Salaino, a Milano, nei pressi del luogo dell’omicidio, è stata posta una targa in memoria di Walter Tobagi, accogliendo la richiesta dell’Associazione Lombarda Giornalisti, di cui Tobagi era Presidente, con un passo di una lettera alla moglie:

« … al lavoro affannoso di questi mesi va data una ragione, che io avverto molto forte: è la ragione di una persona che si sente intellettualmente onesta, libera e indipendente e cerca di capire perché si è arrivati a questo punto di lacerazione sociale, di disprezzo dei valori umani (…) per contribuire a quella ricerca ideologica che mi pare preliminare per qualsiasi mutamento, miglioramento nei comportamenti collettivi. »

Esistono ancora i Walter Tobagi? Nel mondo di oggi il giornalismo, fenomeno della modernità, elemento strutturale della democrazia, sembra avviato verso una crisi forse epocale, sotto la pressione dell’innovazione tecnologica, delle modifiche degli assetti imprenditoriali e di mercato, di forze economiche e politiche sempre più abili e attrezzate per condizionare l’opinione pubblica. Ma è appunto nelle crisi che si rafforza il bisogno di ritornare all’onestà intellettuale, al senso etico e di rifarsi al modello di uomini coraggiosi e limpidi che hanno osato affrontare anche la morte per la verità e solo con questi esempi si può ritornare alla speranza di un mondo migliore.

Nuovi falsi, nuove tecniche d’indagineDott. Raffaele Caselli, Grafologo, Presidente onorario ARIGRAF, Perito Giudiziario del Tribunale di Roma, Direttore del Laboratorio nazionale di aggiornamento in Perizia Giudiziaria ARIGRAF

Ogni perito, nell’esercizio della sua attività, si trova ad affrontare problemi ogni volta diversi e, soprattutto nel campo dei falsi, è necessario un continuo aggiornamento sulle tecniche di indagine per conoscere le novità che la comunità scientifica ha elaborato nei vari settori.
Un esempio per illustrare come cambiano i falsi: nel campo delle alterazioni di documenti, il settore più interessato al fenomeno sono gli assegni. In genere vengono alterati il nome del beneficiario, per stornare l’incasso in una direzione diversa da quella originaria, l’importo in cifre ed in lettere, per dare maggiore consistenza all’operazione fraudolenta. Spesso sono oggetto di alterazione sia il nome del beneficiario che l’importo, lasciando inalterata la firma: è il caso di alterazione di assegni già interamente compilati e che arrivano al falsario attraverso furti.
Recentemente sono arrivati nelle cartelle dei tribunali assegni con scritte di compilazione completamente integre, ma diverse da quelle presenti sull’assegno originario. In questo caso il falsario ha preferito utilizzare un assegno nuovo della stessa banca, eliminare da esso tutti i dati distintivi (numero dell’assegno, ABI e CAB, dati della Filiale…) e trasferire su di esso i dati dell’assegno trafugato. In tal modo poteva disporre di un assegno identico a quello trafugato e che poteva essere riempito con importo e nome del beneficiario diversi, imitando in qualche modo la firma. Il vantaggio di questa operazione è quello che non si non si deve intervenire su parti scritte a penna, ma su parti stampate che possono essere rimosse per abrasione, recando un danno minore al documento, e ricostruite con una stampante.
Con la diffusione dell’informatica alcuni mezzi di indagine, come la fotografia nell’Infrarosso e la microfotografia, che fino a qualche tempo fa richiedevano attrezzature piuttosto laboriose, ora fanno parte del bagaglio strumentale di ogni perito grafico. Con una semplice foto IR, e un po’ di fortuna, è possibile vedere se un importo o una data hanno subito interveneti correttivi.
Alcune tecniche di indagine più sofisticate, come la datazione degli inchiostri per via chimica o la profilometria laser, basata sulla “metodica interferenziale”, che consente di distinguere l’ordine di apposizione di due tratti sovrapposti, sono diventate di uso comune.
Attraverso queste indagini è possibile vedere se un certo documento è stato stilato nella data indicata o se è successivo o ancora se ha subito integrazioni in tempi successivi; se la firma è coeva o precedente o successiva al documento stesso.
Molte tecniche di indagine non hanno avuto la diffusione di quelle citate, o perché riferite a specifici settori di indagine, ma non meno importanti per risolvere casi particolari, o perché subito superate da altre più efficaci.
La comunità scientifica è alla continua ricerca di nuove metodiche applicabili alle indagini forensi. Il dialogo tra il ricercatore e l’utilizzatore avviene tramite riviste specializzate del settore forense.

Se ne possono citare alcune di carattere generale:

  • Journal of Forensic Sciences,
  • Canadian Society of Forensic Sciences (Journal of),
  • British Academy of Forensic Sciences (Journal of),
  • National Institute of Forensic Science (Journal of),
  • Forensic Science International (Journal of);

e altre specifiche del settore grafico:

  • American Society of Questioned Document Examiners,
  • Association of Forensic Document Examiners.

In queste riviste, accanto ad articoli di medicina legale e di criminalistica, si possono trovare interessanti articoli sulle varie tecniche di indagine per caratterizzare gli inchiostri, i toner, le stampanti; interessanti articoli di carattere grafico (es. impostazione della scrittura in soggetti dipendenti dall’alcool), di grafologia linguistica (es. caratteristiche della scrittura di alcuni gruppi razziali presenti a Singapore), di carattere generale (cosa deve sapere il perito grafico sulla firma elettronica e digitale), e molto altro.

Per conoscere tutto quello che è stato pubblicato su un certo argomento specifico si può ricorrere agli Abstracts che consentono di conoscere tutte le pubblicazioni relative a un determinato argomento, mediante ricerca per parola-chiave.
Quando una determinato metodo di indagine viene consolidato e la sua validità riconosciuta dalla Comunità scientifica, la relativa procedura viene convertita in una NORMA.
Tra gli Enti che emettono normativa in campo internazionale emerge l’ASTM (American Society for Testing end Materials) che pubblica annualmente una serie di norme raccolte in 80 volumi; tra gli argomenti trattati c’è anche la sezione relativa alle Forensic Sciences (ASTM 14.2).
Scorrendo l’elenco delle norme contenute in questa Sezione si trovano argomenti molto interessanti per il perito grafico; si riportano solo alcuni titoli:

  • E 1789-04 – Guide for Writing Ink Identification;
  • E 2195-02E01 – Terminology Relating to the Examination of Questioned Documents;
  • E 2331-04 – Guide for Examination of Altered documents;
  • E 2388-05 – Guide for Minimum Training Requirements for Forensic Document Examiners.

La Norma costituisce una guida sicura per risolvere la maggior parte dei casi peritali che ci vengono sottoposti.

Dove non arrivano le Norme, arriva l’esperienza del Perito e la sua capacità di utilizzare le varie tecniche di indagine in maniera creativa.

L’alba di una nuova solidarietà – Dott.ssa Véronique de Villeneuve, Grafologa, Presidente della Société Francaise de Graphologie

(traduzione integrale dal francese di Nicole Boille)

Il mondo contemporaneo ha conosciuto e conosce tuttora dei cambiamenti di una rapidità e di una profondità senza precedenti.
Disfacimento dei valori e delle autorità tradizionali: i principi fondatori di antiche visioni del mondo sono sfumati, per lo meno in Europa e nei paesi culturalmente occidentali.
Dopo tale grande movimento di de-costruzione, le ideologie edoniste si sono propagate, la parola chiave non è più dovere, ancora meno merito, sforzo o lavoro.
L’essenziale non è più di conformarsi a norme collettive esterne a se stessi, ma di giungere alla propria realizzazione. « Be yourself » è l’unico imperativo che sussiste : il diritto ad essere se stessi si accompagna alla convinzione che vi è qualche cosa da imparare circa l’alterità e la differenza in tutte le sue forme.
Potrà sembrare paradossale che, in questo contesto, gli impegni umanitari, le solidarietà di prossimità, la sensibilità alle disgrazie altrui siano diventate le preoccupazioni maggiori del tempo presente.
Le iniziative verso i senza casa, i senza documenti, i senza famiglia, verso le vittime di cataclismi si sono moltiplicate, e beneficiano della benevolenza e del sostegno dell’opinione pubblica.
Più di 30.000 associazioni sono create ogni anno in Francia e la percentuale di persone che partecipano ad attività associative con scopo umanitario e sociale non cessa di aumentare da più di 20 anni.
Certamente si può tenere, parallelamente al discorso sull’ascesa dell’altruismo, un altro discorso altrettanto argomentato sull’ascesa di un individualismo generalizzato. Tale coesistenza rivela ed esprime l’ambivalenza della società attuale.
Staremmo forse assistendo a uno dei tanti sconvolgimento ai quali la nostra epoca è abituata, che vanno dall’individualismo trionfante ad una visione diversa, che pone l’attenzione sull’altro?
L’ideologia umanitaria sarebbe diventata quindi il nostro modo di affrontare il mondo?
Il sociologo Didier FASSIN, nel suo libro « La raison humanitaire, une histoire morale du temps présent» (La ragione umanitaria, una storia morale del tempo presente)ed. Gallimard, 2010, spiega che una morale umanitaria si è progressivamente iscritta da una ventina di anni nella legislazione nazionale e nel diritto internazionale.
Non è tuttavia che l’uomo del XXI° secolo sia diventato più altruista dei suoi antenati.
Non siamo né più altruisti né meno altruisti. Più che un ritorno alla morale, gli individui stanno tessendo una nuova forma di legame sociale. Le nuove solidarietà attestano di un nuovo modo di collegarsi agli altri.

Si tratta anche di un altro modo nel considerare l’altro.
Da più di 20 anni diversi testi di legge votati in Europa hanno come principio ispiratore una maggiore attenzione alla presa in carico delle persone.
Simultaneamente, l’obiettivo del professionale sociale cambia. L’accompagnamento si sostituisce alla riparazione. Non si tratta tanto di aggiustare, di educare per fare evolvere la persona verso modelli di riferimento (il buon cittadino, il buon operaio, il buon studente, la buona madre di famiglia…) ma piuttosto di agire con la persona così com’è, considerandola come un essere autonomo e non come un essere incompiuto.
Accettarla così com’è, con le sue caratteristiche. L’essenza del lavoro trasformandosi in un lavoro di inter-collegamento.
Si tratta di accompagnare, ossia di aiutare la persona a rivelarsi a se stessa. E’ un lavoro con l’altro.
Non siamo una società olistica, (in cui l’essere umano è totalmente o fortemente determinato dal tutto di cui fa parte), ma una società di individui. Ed è proprio perché gli individui sono maggiormente autonomi che nuove forme d’impegno umanitario si moltiplicano.
Non siamo più individualisti dei nostri predecessori, ma l’evoluzione della società ci rende più autonomi. L’autonomia, essendo intesa come il diritto per l’individuo di determinare liberamente le regole alle quali si sottomette.
L’individualizzazione crescente non scarta per forza la richiesta di solidarietà e di condivisione.
Il desiderio d’impegno non è affatto scomparso, ma oggi ci s’impegna in modo diverso. Nuove forme d’impegno e di solidarietà fanno la loro comparsa, lo testimonia lo sviluppo dell’azione del volontariato.
Un giovane su due in Francia, al di sotto dei 25 anni, dedica del tempo al volontariato, in un’azione di solidarietà nazionale o internazionale.
I giovani di oggi s’impegnano quanto quelli di ieri: lo fanno in modo diverso e non per gli stessi motivi. L’impegno associativo, ad esempio, è maggiormente centrato sulla realizzazione personale.
Oggi molti giovani sono attirati dal mondo associativo, in cui figurano le associazioni umanitarie ed ecologiste. Ed è proprio quello che osservo nella mia pratica lavorativa, trattandosi, in qualità di grafologa e psicologa, di fare il punto, il bilancio per l’orientamento: questo nell’ambito del privato e personale o nel quadro dell’azienda per i bilanci di competenza. Un bilancio si svolge in tre sedute di due ore. Da 25 anni, ricevo circa dieci giovani alla settimana, tra i 18 e 25 anni, di ambienti socio-culturali diversi.

Scrittura 1

Vi presento ora alcune scritture di persone che hanno preso un impegno in un’azione di solidarietà.
Ecco due scritture maschili che appartengono a due diverse generazioni.
La prima è di un uomo conosciuto a livello internazionale . Si tratta di Padre Joseph WRESINSKI, nato nel 1917,deceduto nel 1988. Oggi avrebbe 94 anni.
Fondatore del Movimento dei Diritti umani, di « ATD quart monde, Aide à toute détresse » (Aiuto ad ogni miseria). Associazione internazionale.
Scrive questi appunti durante una riunione. Ha allora 55 anni. Scrive con la penna a sfera blu su carta formato A4.
Molta intensità in questa scrittura grande, impennata e calcata che occupa tutta la pagina. Domina l’angolo ma è presente anche la curva.
Il movimento impennato sottolinea la ribellione, la non-accettazione dello stato dei fatti.
Il miscuglio di una condotta tesa ma ferma spinge lo scrivente a coinvolgersi totalmente in un compito difficile. Si confronta alle difficoltà e le affronta con energia e coraggio come evidenziano in questo contesto le arcate angolose.
La dimensione, gli ovali gonfi parlano dell’appetito di vita e di desiderio. Vede in grande, investe la pagina fino in basso, non per vanità ma per la volontà di non accontentarsi di poco.
“Il desiderio non è altro che la forza in noi o la vita come una forza”, dice il filosofo André Comte Sponville.
Così interpreto ciò che ha spinto Joseph Wresinski ad impegnarsi e ad agire per gli altri. Ma perché per gli altri? Avrebbe potuto avere un altro obiettivo. Certo, era prete, e questo già orientava il suo impegno, ma avrebbe potuto rimanere in una parrocchia. Invece è andato verso un impegno di combattimento.
La scrittura non ha risposta a tutto, è quindi la biografia a portare elementi che occorre ascoltare e che permettono di capire.
La sua personalità si è forgiata in un ambiente difficile. Da piccolo ha conosciuto la vergogna, la miseria, è stato già allora obbligato a provvedere ai bisogni della sua famiglia. Sua madre era tenera ma ha dovuto separasi da lui quando era molto giovane.
Il grande bisogno d’affetto e la sua mancanza sono del tutto percettibili in questo contesto di alternanze di ovali gonfi con altri ammaccati. Il forte appetito di vita lo ha condotto a combattere e ad orientare le sue scelte.
Combattere con gli altri, darsi questa challenge, gli procura probabilmente la soddisfazione di una sorta di rivincita e di potere (Dimensione e appoggio). E’ anche un modo per regolare i conti con una storia personale (Impennata).
L’impegno di quest’uomo è nato dalla sua rivolta, dalla sua fierezza, dalla brama di giustizia e d’amore, dall’energia vitale: tutto questo scaturisce con forza dalla grafia.

Scrittura 2

È di un uomo di 20 anni più giovane del precedente. Scrive questa lettera nel 1987, all’età di 50 anni: si tratta di un pennarello fine e nero e scrive su carta di formato A4.

Osserviamo il grafismo:
La scrittura inclinata e distesa si proietta verso destra. Il tratto leggero e il bianco alleggeriscono l’insieme. Abbastanza serrato tra le righe, lascia appena il tempo di riprendere fiato per andare di nuovo avanti. Bianchi e neri si mescolano e si combinano.
La ghirlanda si fa quadrata e stabilizza le parole sul rigo, gli anelli rendono più solido il legame: lo scrivente conduce la propria azione senza perdere di vista l’obiettivo e prendendo appoggio sulla realtà concreta.
Il tratto fine e leggero permette di prendere le distanze e di avere uno sguardo vasto, e facilita il rimbalzare per affrontare nuovi progetti.

La firma vicino al testo e il testo raggruppato nel centro della pagina sottolineano il coinvolgimento.
Spesso si pensa che il coinvolgimento e l’impegno si esprimano per lo più nell’appoggio (come nella scrittura precedente). Qui si parla di un investimento dal tratto leggero ma con una conduzione tesa.
Si tratta lo stesso di un uomo di impegno: fondatore trenta anni fa di una Casa d’accoglienza, che ha fatto funzionare con dei volontari per vari anni.
Perché si è impegnato in questa battaglia? Quali sono le sue motivazioni?
A me sembra che la conduzione con tensione, il movimento dinamico a propulsivo, gli slanci e le forme acuminate traducano per lui la necessità imperiosa di uscire da sé per proiettarsi verso ciò che ha davanti, verso l’avvenire, gli altri, il mondo, senza attardarsi su ciò che possa inquietare o turbare.
La sensibilità che si percepisce nelle disuguaglianze e i buchi nelle parole è molto interiorizzata, come ne attestano le forme occlusive.
I gesti sinistrogiri, tra gli altri quelli ad anelli, assicurano alla scrittura un grado di chiusura sufficiente per permettere il va e vieni tra interno ed esterno, tra interiorità e esteriorità. Partecipano di una regolazione tra impulso e realizzazione.
Si capisce allora perché si sia mobilitato con ardore nella creazione di un progetto e come abbia potuto svilupparlo con grande tenacia.
Sul piano della simbologia del gesto, è interessante notare che questi due uomini hanno in comune un gesto in curva che si apre e si richiude in un gesto protettivo a bastone (pastorale).

Scrittura 3

Si tratta di un uomo di 38 anni che si è impegnato molto giovane nel volontariato, e che successivamente ha scelto di diventare educatore specializzato per lavorare vicino a giovani in difficoltà.
Scrive con penna a sfera nera su carta di formato A4. Il tratto è molto calcato. Lo scritto è del 2010.
Le masse grafiche ordinate, la tenuta del rigo e il margine sinistro danno il tono.
Vi sono dei principi, il senso di quello che si deve fare, di quello che conviene fare.
Sembra avvertire infatti l’obbligo di realizzare qualche cosa di “bello”, di essere uno “per bene”, come dimostrano la tenuta dello scritto, le maiuscole alte e strette, le sopraelevazioni.
Essere una bella persona, fortifica l’immagine di sé” direbbe Adam Smith.
L’appoggio, la tensione sull’orizzontale, gli anelli evidenziano la volontà senza fallo per giungervi.
In questo contesto di costrizione, di forte tensione, gli schiacciamenti, le disuguaglianze in zona mediana, le imprecisioni e la confusione di forme, esprimono un sentimento d’insufficienza, un timore di non essere all’altezza dell’idea che lo scrivente ha di se stesso e di quello che deve essere. L’amor proprio è acuto e non vive bene i fallimenti.
Ha la volontà di stabilire legami con l’altro (allargamento con tensione) pur con diffidenza e presa di distanza. La scrittura si rovescia, le finali si stirano e sono a mazza, le parole sono molto spaziate le une dalle altre.
Difficilmente si situa in posizione di ascolto, cerca più di convincere che di provare, sente spesso il mondo esterno come ostile.
La padronanza esterna, percettibile nella verticalità e nella tenuta del rigo, lascia poco apparire le forti tensioni interiori, che sono evidenziate dalle contrazioni e dalla rigidità.
Condurre il gioco, occupare la platea, avere un potere, provare e mettersi alla prova, dimostrare riconoscenza, sembrano essere il cuore della sua motivazione (allargamento con tensione, rigo orizzontale, appoggio, coesistenza di schiacciamenti e di sopraelevazioni).

L’impegno in un lavoro altruista gli permette di essere considerato come un uomo di bene, cosa che per lui e per gli altri è meraviglioso e valorizzante.

Scrittura 4

Ecco in sequenza le scritture di 4 giovani che nel 2011 hanno tra 18 e 30 anni.
Le ho selezionate perché sono rappresentative delle scritture dei giovani che incontro attualmente per i bilanci, senza che siano statisticamente rappresentative.
La prima è quella di una giovane donna di 28 anni. E’ scritta con un pennarello fine, su carta di piccolo formato. Il tratto è disuguale nell’appoggio, nonché sottile.
Le forme sono pervase da numerose disuguaglianze e una leggera effervescenza scaturisce dall’insieme. La zona mediana è molto disuguale, troviamo insieme forme schiacciate e filiformi.
Il legame è discontinuo, gli spazi sono irregolari, la parola non è proprio delineata.
La traiettoria è mantenuta e la progressione si attua in un ambiente ipoteso per via degli irrigidimenti susseguenti.
Questa giovane donna vive nell’istante, con un comportamento spontaneo e socievole, le sue reazioni sono immediate in risposta all’emozione, la fiducia in sé cerca rassicurazioni.
L’allargamento sul rigo, la pagina occupata con ampiezza, in questo contesto leggero e disuguale evidenziano un bisogno di allargare il proprio campo d’azione, di non rimanere nello statu quo. La conduzione ipotesa, il polimorfismo, vanno nel senso di una capacità di apertura, di disponibilità e di adattamento.
Le oscillazioni e le domande, disuguaglianze di direzione, buchi nelle parole, scatti, contrazioni, alimentano l’ansia. Non ha ancora trovato il suo filo conduttore. Cerca, esita, si fa domande. Lo testimoniano le fluttuazioni d’inclinazione e i tentennamenti.
Alcune verticali più calcate e più inchiostrate arginano le turbolenze e permettono di mantenere la direzione. Si può supporre che l’ottimismo che dimostrano sia un modo per neutralizzare la perdita di coraggio e le esitazioni.
Si potrà parlare di fragilità, d’indecisione, di difficoltà nell’impegnarsi, di fiducia in sé molto fluttuante e limitata. E’ tuttavia necessario e importante associarvi una sensibilità, con capacità di ascolto e una resistenza di fronte alle difficoltà.
In questo contesto, il tratto leggero e fine evidenzia lo scarso interesse per il confronto diretto, e il debole desiderio di lasciare un’impronta, con la capacità ad adattarsi all’ambiente. Indica anche la facilità a liberare rapidamente l’emozione, a mettersi in stato di allarme per mobilitarsi e rispondere alle sollecitazioni esteriori ed interiori.
Dopo brillanti studi in marketing ed una prima esperienza professionale riuscita, a 28 anni, prende la decisione d’impegnarsi come volontaria umanitaria e di partire con suo marito in una ONG. Ci lavora da 5 anni con ardore senza scoraggiarsi e senza tregua.
Le “sue parole”: andare verso quello che è avanti, “muoversi” – conoscere – scambiare – amare quello che si fa.

Scrittura 5

Giovane donna di 25 anni.
Scrive con la stilografica blu, su carta di piccolo formato. Con un appoggio medio, con pressione marezzata e spasmi.
La scrittura diventa stretta in altezza e allargata tra lettere, si regge sulla verticale. Il legame è costante e assicura il contatto con il rigo di base. Un’effervescenza e un’aritmia dei bianchi e neri si manifesta progressivamente dal retro al dritto. L’insieme rimane controllato. La pagine è occupata dall’alto al basso sul retro come sul dritto. La firma è collocata in centro e appoggiata su un paraffo curvilineo.
Sembra essere guidata da un ideale (verticalità, maiuscole alte e strette) verso il quale tende pur mantenendo i piedi per terra (scrittura legata, tratto assai largo).
Il restringimento in altezza associato a collegamenti secondari mostra lo sforzo adoperato per contenere l’impressionabilità sottostante, che traspare nella pressione marezzata, gli spasmi e le piccole finali acuminate.
La scrittura verticale sul retro evidenzia disuguaglianze di direzione, mentre lievi cambiamenti d’andatura appaiono sul dritto fino ad inclinarsi nel paragrafo post firma.
Tale variazione dell’inclinazione, da verticale a inclinata, passando per oscillazioni, sottolinea il travaglio tra l’aderire a ciò che è ragionevole (direzione verticale, forme placate e scolastiche) e il lasciarsi guidare dall’emotività (Inclinazione, effervescenza).
La stessa dicotomia si ritrova nella firma situata in centro, stretta nel corpo del nome e complessivamente estesa, con il suo paraffo.
Vi è in questa persona una coesistenza d’esaltazione, d’entusiasmo, come dimostrato delle disuguaglianze di direzione, gli slanci in finale o dai tagli delle t, insieme ad un controllo, ad un buon giudizio, con la scrittura stretta, le finali brevi e la direzione verticale. Sembra tentare di conciliare in se stessa queste due tendenze.
L’inclinazione dell’ultimo paragrafo, tra l’altro in questo contesto di pressione marezzata, lascia supporre che vi sia la tentazione di lasciarsi guidare dall’emozione più che dalla ragione. Ma il fatto che leghi tutte le lettere tra loro, significa che la scelta è difficile, e che vuole esserne padrona.
Dopo brillanti studi d’ingegneria, entra in azienda per una posizione di ingegnere di produzione, dove si trova bene.
Parallelamente, dedica molto tempo al comitato dell’azienda nel quale crea una corale. Si reputa felice di partecipare all’educazione, a ciò che eleva l’anima (come dice), anche se richiede disponibilità e tempo.

Le sue parole: Bellezza – Fedeltà – Sincerità – Entusiasmo

Scrittura 6

La sesta scrittura è di un ragazzo di 18 anni, liceale.
Ha difficoltà a mobilitarsi per il lavoro scolastico ma ha progetti in testa, che spera di poter realizzare appena diplomato.
Scrive con la matita scura, su carta di grande formato.
In una pagina completamente occupata e compatta, la scrittura assai grande con zona mediana preponderante si agita, s’irrigidisce, s’impenna,
Gesti impennati, a ritroso, acuminati, vanno nel senso di una tendenza a ribellarsi e ad agire in reazione al suo ambiente. Cerca di uscire dall’impasse in cui si trova e che la compattezza e l’occupazione dello spazio rivelano.
E’ preso in trappola, nella sua stessa trappola, come un’ ape nel boccale. Gira a vuoto, si pone domande senza risposte.
Gli sforzi che si percepiscono negli irrigidimenti, sono per ora poco efficaci, perché non mirati, come dimostrato dai bruschi cambiamenti di direzione e dall’agitazione latente.
La dimensione della zona mediana sottolinea il desiderio di essere simbolicamente “grande”, gli ovali gonfi l’insoddisfazione sentita per non esserlo.
Le lettere occlusive e i gesti sinistrogiri in questo contesto traducono la resa davanti alla propria debolezza: si chiude per paura di essere troppo allo scoperto.
In questo contesto, con zona mediana preponderante, la pagina tutta occupata e compatta corrisponde ad un modo d’imporre la propria realtà e in tal modo di sentirsi forte. Ma, rappresenta anche l’espressione di una situazione bloccata.

Poco felice al liceo, è preda dell’ansia che gli creano i risultati scolastici del tutto mediocri. Se riesce poco a studiare, investe molto nel sogno di partire lontano, per essere utile sul campo.
Si è diplomato, poi è entrato in una scuola dei lavori Pubblici, in cui ha fatto tre anni di studi. Si è appassionato per gli stage che ha fatto sul campo.
In seguito parte in una ONG (organizzazione non governativa) per partecipare ad un cantiere di costruzione di un ambulatorio in America latina, dove si trova tuttora.

Le sue parole: Capire l’umano – Essere utile sul campo – Fare qualche cosa di concreto – Impegnarmi in qualche cosa che mi piace.

Sintesi

Le motivazioni espresse più di frequente dai giovani che incontro per i bilanci e che ritornano sempre nelle interviste, sono le seguenti:

    1. sentirsi utile
    1. fare qualche cosa per gli altri
    1. stare sul campo e non in un ufficio
    1. avere contatti
    1. “muoversi”, spostarsi, viaggiare

La ricerca di una realizzazione personale è manifesta soprattutto nei 15-19 anni, tutti evocano la dimensione relazionale.
Tutti provano, e lo esprimono con le proprie parole, il bisogno di dare un senso e di trovare del senso a quello che fanno. La ricerca di valori è il cuore delle loro preoccupazioni.
Si tratta di una generazione di giovani che discutono alla pari, senza tenere conto né dell’età dell’interlocutore né delle sue competenze, che desidera trovare un lavoro e che sogna un lavoro nel quale realizzarsi.
Hanno molto paura della routine, molta paura di fare sempre la stessa cosa, di annoiarsi. Ma non temono d’impegnarsi.
Per molti la vita è un susseguirsi di tappe, e pensano più ad occupazioni consecutive che all’occupazione con la O maiuscola .
Questa è certamente una realtà parziale di giovani che incontro nel mio lavoro.
Non c’è una realtà ma varie realtà, non si può dire “i giovani”, ma si può parlare di giovani in un contesto preciso.
La scrittura è nello stesso tempo la manifestazione di un’identità singolare e di un’identità culturale.

Ma solamente studi condotti su campioni la cui rappresentatività sarebbe stata validata statisticamente potrebbe permetterci di descrivere le scritture di una specifica generazione.
Secondo me, non si tratta di fare dei paragoni normativi, né di dare approvazione ad una data generazione e biasimo ad un’altra. Si tratta di constatare qui ed ora le differenze e di tenerle in conto senza stabilire gerarchie di valori.
Non sono ingenua al punto di pensare che viviamo in un mondo perfetto, ma ho la convinzione che viviamo momenti in cui un universo barcolla mentre uno nuovo prende il volo.

Conclusione
Vorrei in conclusione parlare dell’impegno (engagement) del grafologo.
Secondo la definizione del dizionario, è risaputo che il grafologo è colui che studia una scrittura, l’interpreta e descrive la personalità dello scrivente.
Quindi il grafologo esamina la scrittura che gli è stata affidata e ne restituisce, dopo averla studiata, un resoconto che descrive la personalità con tatto e finezza. Se lavora in azienda, risponde alla domanda del suo committente.
Nel quadro di studi personali e privati, ci sembra importante, prima ancora di studiare la scrittura, che il grafologo incontri la persona, l’ascolti parlare del suo ambiente, della sua vita, e che la spinga a formulare la sua richiesta e a precisare le domande che si pone.
Cosi il grafologo potrà meglio percepire i punti che dovrà affrontare nel colloquio quando le darà la sua relazione.
L’importante non sarà dirle tutto, ma cogliere ciò che è pertinente per lei, e che aprirà il suo sguardo su se stessa, ossia darle elementi di cui potrà lei stessa fare qualche cosa.
Cosi, incitandola a porsi domande, a formulare precisamente una richiesta, il grafologo la invita ad impegnarsi personalmente nella sua domanda. Potrà in seguito, nel colloquio, proporle alcune ipotesi e proposte tanto più pertinenti quanto lei stessa avrà partecipato alla loro elaborazione.
La scrittura rimane al centro dell’osservazione, nel cuore del lavoro. Ma cosi procedendo, il grafologo si pone in posizione di “accompagnamento”, di “coach”, più che come persona che fronteggia un’altra, che a sua volta dovrebbe farsi scoprire.
Partecipa allora ad un lavoro di ri-collegamento, e co-agisce con chi deve studiare. Come ho già accennato nell’ introduzione.
L’impegno del grafologo di fronte al suo mestiere non può essere il medesimo in ogni epoca.

Non si tratto di sapere se fosse meglio o peggio prima, ma di constatare che un cambiamento d’epoca implica necessariamente uno sguardo nuovo nella nostra pratica.

Qual è il cuore e il senso del mio mestiere, non è forse la domanda che continuamente si pone il professionista?

Terminerò con una boutade, con le parole di Georges Bernanos, divertenti ma più sottili di quanto possano sembrare, « Si l’optimiste est un imbécile heureux, le pessimiste n’est trop souvent qu’un imbécile malheureux. » (Se l’ottimista è un imbecille felice, il pessimista non è spesso altro che un imbecille infelice).

Ripeto: viviamo momenti in cui un universo barcolla mentre uno nuovo spicca il volo.

Le ragioni della crisi: parlano (e scrivono) i filosofi del ‘900Dott.ssa Paola Urbani, Grafologa, Presidente AGIF, Direttore editoriale della rivista “Il giardino di Adone”

La filosofia ha un potere predittivo, La crisi che investe i nostri giorni è stata annunciata dai filosofi che hanno prima di tutti capito una semplice cosa: che era il momento di abbandonare le certezze del sec. XIX.

Il primo e maggiore critico di tutto il pensiero precedente che ne ha evidenziato il carattere obsoleto è stato, come ben sanno i grafologi, il filosofo che più di tutti ha influenzato Klages: F. Nietzsche.
Le sue affermazioni hanno sradicato le antiche certezze e aperto una strada nuova alla filosofia. Con il suo rifiuto del pensiero sistematico, e della logica bivalente vero/falso, attraverso una critica stringente alla morale tradizionale, e una idea della filosofia come ricerca, Nietzsche ha anticipato molti aspetti della crisi contemporanea, che è anzitutto crisi del pensiero tradizionale, e che possiamo riassumere in questi punti:

  • Crisi del primato della razionalità, ovvero crisi della logica bivalente fondata sul principio di non contraddizione
  • Crisi di una idea di verità come corrispondenza tra ‘io’ e mondo esterno
  • Crisi del pensiero ‘obbiettivo’ e affermazione del primato dell’interpretazione
  • Crisi dell’etica, rimessa in discussione dei suoi fondamenti
  • Crisi della contrapposizione cartesiana tra res cogitans e res extensa
  • Crisi del concetto di unità dell’io
  • Crisi della filosofia che abbandona la metafisica per diventare analisi del linguaggio

Questa crisi che per l’uno o l’altro aspetto tutti li accomuna viene espressa e risolta in modo diverso dai filosofi del ‘900.
A questo punto al grafologo si pone una domanda: la loro scrittura in che relazione sta con la loro visione filosofica? Secondo Klages come non c’è corrispondenza tra ideali e vita, così non c’è corrispondenza tra ideali e la scrittura.
“Gli ideali non sono posseduti mai a sufficienza da chi li possiede”- scrive in Perizie grafologiche di casi illustri commentando la scrittura di Nietzsche.
Osservando la scrittura di Nietzsche e di alcuni filosofi a cui ha aperto la strada, ci porremo la stessa domanda. Confrontando la scrittura di Russell, Wittgenstein, Sartre, e degli italiani Benedetto Croce, Ugo Spirito, Nicola Abbagnano, Emanuele Severino, Vittorio Mathieu, Roberta de Monticelli, con alcune affermazioni centrali della loro filosofia, cercheremo di evidenziare possibili o impossibili concordanze.

Per chiederci ancora una volta: cosa rivela la scrittura? Quali sono le potenzialità e quali i limiti della grafologia?

Grafia di Roberta de Monticelli

Grafia di Jean Paul Sartre

Grafia di Jean Paul Sartre

Grafia di Emanuele Severino

Grafia di Emanuele Severino

Grafia di Ludwig Wittgenstein

Grafia di Ludwig Wittgenstein

Grafia di Friedrich Nietzsche

Grafia di Friedrich Nietzsche

Etica e Coraggio, casi emblematici: da Matteotti a SavianoDott.ssa Nicole Boille, Grafologa, psicologa, Presidente onorario ARIGRAF, membro del Groupement des Graphologues Conseils di Francia

Alcuni personaggi della storia di ieri e di oggi dimostrano come un’etica di vita impone loro una rettitudine morale e il coraggio dell’impegno di fronte al potere, in special modo di fronte al potere politico dittatoriale, ma anche di fronte a poteri paralleli. Tra molti scegliamo per questo Convegno alcuni nomi emblematici.

Piero Gobetti (1901 – 1926)

Testo di Grafia di Piero GobettiConsiderato un modello di integrità morale, con forte sensibilità, aperto ai problemi sociali, fondatore di riviste militanti, ha anche portato a termine una grande opera critica su autori russi.

Il grafismo con il suo delicato disuguale metodico, esprime la passione intellettuale; i suoi elementi di fermezza e di

Testo di Grafia di Piero Gobetti 2

precisione della singola struttura letterale, e nello stesso tempo, l’assenza di gestualità spavalda,

suggeriscono la concentrazione di un pensiero creativo introverso.

Muore a Parigi, dove si era esiliato dopo un nuovo pestaggio, e non guarito dalle ferite riportate, viene stroncato da una bronchite a soli 25 anni.

Giacomo Matteotti (1885 – 1924)

Dopo il suo coraggioso attacco in parlamento al regime fascista per i suoi imbrogli elettorali, è rapito e assassinato, anzi massacrato, alcuni giorni dopo, aveva 39 anni.
Le sue stesse parole premonitorie illustrano bene questo grafismo “granitico”: « Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me. »

Interessante osservare la pressione spesso “spostata”, nel grafismo inclinato e scorrevole, che sembra partire in volo, ma con il rinforzo dell’impegno sull’orizzontale, le ”t” sbarrate due volte: esige da se stesso come dagli altri, privo di remore, ma con sottile sensibilità.

Vlado Gotovac (1930 – 2000)

Poeta croato, filosofo, saggista, critico d’arte, giornalista. Uomo politico parlamentare fondò il primo partito liberale in Croazia.
Dissidente politico, duramente condannato dal regime comunista jugoslavo a lunga prigionia e poi a libertà vigilata. Si tratta di un personaggio di grande risonanza a livello nazionale nel suo paese. Deceduto nel 2000 al momento in cui riprendeva tutte le sue attività da uomo libero, triste conseguenza dei maltrattamenti in prigione.

Commovente, contemplare i suoi diari in originale, in parte scritti in prigionia, perché si può parlare di poesia grafico-spaziale, dal tocco essenzializzato, conciso, un ritmo aperto allo spazio con una scandita modulazione di minime e spoglie sagome dal tratto pastoso e passionale.

Giovanni Falcone (1939 – 1992)

“Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Considerato eroe nazionale che ha saputo imprimere una svolta nelle indagini di mafia, siamo colpiti della sua grafia naturale e affabile come il suo viso.

Con impegno e noncuranza del pericolo prosegue la sua missione contro poteri occulti, e lottando contro quello che chiamò il

“cinismo politico”. Ma, la sua grafia non sembra aver perso una fiducia di base come se fosse incapace di concepire l’immane strage di Capaci d el 23 maggio 1992, quando era poco più che cinquantenne, diciannove anni fa.

 

Roberto Saviano (nato nel 1979)

Non sappiamo se Saviano avrebbe scelto un simile rischio come quello che sta vivendo, e di cui siamo tutti partecipi. Ma è certo che conduce ora la sua battaglia all’insegna dell’etica e del rigore, in cui l’intelligenza dell’artista scrittore si allea con un’immagine di sé grandiosa: l’Ideale dell’Io è protagonista.

Quale sia il punto utopico o realista al quale aspira, il suo carisma traspare e comunica un’essenza dell’essere attraverso il suo grafismo di grande adolescente ambizioso, tormentato e veritiero.

Sembra che le scelte etiche e rischiose, che escludono la vigliaccheria, implichino un grafismo con segni di volontà, con un ritmo risoluto: si escludono le grafie sciatte, sfuggenti.

Questi personaggi sono tra loro legati per il coraggio e l’etica di vita che fanno passare prima della loro persona e che ci trasmettono con sincerità e forza carismatica.